Percorsi

La labile arte del mimo

La labile arte del mimo,

di segni che presto si sfaldano

come spirali di fumo

che un giocoliere dispone

a vista di idiota ciurmaglia

nasuta, festosa, caparbia

nel plauso al gaglioffo despota

dopo il furto plateale,

la scoperta della tresca,

del malcelato assassinio!

Prima inviluppo magnetico,

appresso vapore impalpabile,

anonimo in spazi profondi

dove si stagliano imprese

di più mordente prestanza

offrendo memoria ai superstiti

di scorrenti generazioni.

 

Ah, quando il teschio di Yorick

dalla zolla appena rimossa

solleva il principe Amleto,

schizofrenico messaggero

di quanto è impossibile fare,

e impossibile non fare!

A quale età della vita

intende alludere?, a quale

età dell’Uomo? Alla nostra

di Intuitori inascoltati?

A quella del fanciullo ugandese

strappato alla madre e armato

perché combatta una guerra

di cui ignora motivo e fine?…

 

Nel sito nel quale impartiscono

i Signori del Discorso

lezioni di eccelsi studi

sul Bello, sull’Utile e il Giusto

grava un fetore nauseante

di spurghi necrotici emessi

da anodine macchine. Appena

un anno dopo la morte

del docente nessuno ne fa

più memoria né astiosa né grata.

E quando, destato in Qualcuno

il genio latente in Ognuno,

risuona il sornione starnuto

nel refettorio i Mediocri,

inforcate più spesse lenti,

chinano il viso sul piatto

ripieno di grassa vivanda,

l’estetistico banchetto

melodici rutti suggellano,

la Storia ha inghiottito il misfatto…

 

(Giovedì 28 maggio 2004)

 

La lena che esplode e si estingue

La lena che esplode e si estingue

in una stagione infantile,

in una gioventù-Primavera!…

Geniale lettura del verbo

in cinque vocali e colori:

A noir, E blanc, I ouge,

U vert, O bleu, voyelles…,

fuoco d’artificio festivo

in società inalterabili:

deboli adulti che poi

impetrano un po’ di assistenza

alla scalfita epidermide

da una vedova o pensionata,

matrigna o sorella superstite;

spavaldi che attingono in droghe

muscolatura e coraggio

per affrontare avventure

temerarie e inconcludenti…

Nel frattempo un Ralph Waldo Emerson,

sull’altra atlantica riva,

attende paziente che approdi

il Genio-dall’occhio-di-tiranno

capace di fonder l’antico

con il nuovo, nella sua terra…

 

Che prodigio che sfolgori ancora

sopra il nostro capo bianco

la nativa fantasia,

che apprenda ragioni per crescere

la nostra speranza del meglio

dopo i transiti intimorenti

per dialettici pantani,

instancabile pendolante

dal fantastico al prammatico,

dal prammatico al fantastico!…

 

(Venerdì 20 febbraio 2004)

 

Questa creatività nostra costretta

Questa creatività nostra costretta

tra gesti in quotidiana indifferenza,

stimati indispensabili e mai studiati –

premere un tasto, sfiorare un interruttore,

azionare un pulsante, girare una chiave,

sospingere un pedale, bloccare un flusso,

ruotare una maniglia o un rubinetto,

protestare per estimi fatti esosi,

per tradimento di ruffiane cedole –

cerchio che assedia l’àpate durata

di corpi ormai ridotti ingenerosi,

di menti pervertite e pervertenti.

E dunque i nostri romanzi e i nostri poemi

offrirli a occasionali avventori impratici

delle cogitazioni problematiche

per cui proruppero, come mature feci

da un organismo nutrito saggiamente,

da schiavi mantenuti in lussuosa stanza…

 

Ma pensi a essenza e tono di distanti

creatività accampate in interstizi

con eroica bravura conquistati

da menti fervide in più fragili organismi

ponendo i sensi in quotidiano studio

dei moti e suoni tramati in uno spazio

comune, di naturale offerta e scambio –

fracasso di dure ruote su acciottolati

sconnessi, ragli nitriti zoccolii di bestie

partecipi degli umani impegni e fremiti,

colpi di scuri su stagionati tronchi,

sfrigolio di ramaglie nei camini,

crepiti di stoviglie di altra tempra,

discreto chiocciolio di acque raccolte

o versate, crepitio di legna ardente

nelle sere, fruscio di fredde ceneri

spazzate all’alba e riposte per lavaggio

di biancherie domestiche e usurate…-

 

E infine se misuri il modesto divario

di condizioni e di mansioni, gli esiti

della parola scritta o proclamata

in tempi e luoghi che ti paiono contigui,

avverti in ben altre distanze di tempi e luoghi

i sonanti essudati delle anime

fondersi con spontanea naturalezza,

gli estremi speculati serrarsi e giungersi,

masserizia essenziale al sopravvivere

del messaggio, non più della persona:

allora balbulus Notker quando transita

a San Gallo sul ponte, scruta l’abisso

e strepita: ‘Media vita in morte sumus!’

(ah, Notker, quale fiducia in noi trasfonde

la sequenza, rioccupandoci nel trascorso!…)

è ancora Li T’ai Po che dalle balze

del Monte Lu scorge fulgenti andare

gli spiriti dei Beati, con in mano

fiori d’ibisco, alla Città di Giada…

 

(13 novembre 2003)

 

Ecco, il nostro occhio e l’orecchio

La funesta scorribanda

dell’esotico uragano

che attraversa i continenti

e frantuma architetture

dell’umana intraprendenza

forse amalgama e reintride

nella macina del tempo

le incidenze persuasive

che hanno effuso altri esistiti?

 

Li T’ai Po che un bel mattino

sale ai Cinque Monti Sacri

a cercare gli Immortali

che con fiori d’ibisco in mano

vanno alla Città di Giada

tra iridate nubi e nembi

mentre l’acqua del Fiume Azzurro

laggiù va e non fa ritorno;

 

Notker – balbulus et edentulus,

bibliotecario e hospitarius –

che a San Gallo sporge il capo

dalla spalletta del ponte

sull’inorridente abisso

ed intona la sequenza

Media vita in morte sumus,

quem quaerimus adiutorem?...

Ecco, il nostro occhio e l’orecchio

nel frastuono urbano hanno

sperso in favole stranianti

le risorse naturali!

Mira in alto o scruta in basso,

scegli: o inerte e poi plagiato

o rinchiuso nella torre!…

 

(30 ottobre 2003)

E quest’arte totale dunque implosa

Tra afa intempestiva e stridente bufera

la nostra ventisettesima campagna

olivicola. S’informa un’altra cantica

del corposo poema di poesia agita,

manuale, podale, inerpicata

su branche solide, flessa sulle zolle

màrcide; le roride minuzie

dei frutti tonfi e sillabe di un verso

smisurato nella gragnuola generosa.

Come anonimi cercatori di pepite

in una miniera di cui sia ignoto il donno

andremo in marcia cauta con lento passo,

terremo condotta assorta, parola scarsa,

attenti ad orientare occhio e orecchio

lungo le prospettive imposte o casuali

dischiuse da mille penduli diaframmi

tra barbaglii solari e opache lame.

 

Romiti, anche compiaciuti del sequestro

udiamo aleggiare insistenti dal clivo ombroso

della collina prossima i richiami

di ciarlieri fagiani (sappiamo chi li ha

laggiù nutriti ammodo in civili recinti;

poi li sospingerà, per scialo di qualche

frenetico omicida, in fugace illusoria

libertà…); e in quel loro farfuglio

riscopriremo Cassandre inascoltate…

Ma quando esporrà una pianta frutti fitti

le nostre mani invaderanno la sua fronda

con la lascivia con cui una banda di lanzi

irrompe nel recinto delle novizie.

 

E poi si dia che a sera le nostre dita

così bene addestrate alla presa e al tratto

ricompongano nella domestica penombra

quel do maggiore di Johann Sebastian Bach,

quel do maggiore di Frederik Chopin:

là l’arpeggio armonioso gravido di tutte

le melodie, le anteriori e ormai remote,

le antiche, le nostrane, le evenienti,

qua la serica trama rutilante

della passione tesa fino a una acmè

stridula, e poi stremata e, infine, giacente.

Meravigliosa invenzione fece chi

riuscì a tradurre con segni su carta

ciò che, nell’aria invisibile, colpisce l’orecchio,

il nostro essere coinvolge in imprese stranianti!…

 

Per questo, forse, nel foglio che avrò dinanzi

fitto di assaggi cromatici e di segni

spiccherà, tesa nel glorioso passo,

questa mia Erma-Nike mentre incede

tra gli sfasciumi di una espugnata rocca,

creatura anacronistica, per voi inutile

(le curve che la concludono hanno esiti araldici,

attestano antico prestigio e ben gestito…);

e quest’arte totale dunque implosa

nel modesto recinto del mio eremo

(entità che si dona, ma non si vende!…)

vorrete confrontare con la vostra

loquace cantilena, poesia cartacea

imbastita distante da esatte prove.

 

(18 ottobre 2003)

 

Mentre in spaziosi recinti con buona acustica

Mentre in spaziosi recinti con buona acustica

danno in agile ritmo e con congruo fervore

water music concerti brandeburghesi,

si fondono i ghiacciai polari e alpini

e ancora assetata e ignara si dilania

ai Tropici in tribali faide e massacri

in altro cromatismo altra umanità.

 

Sì, il saporoso entretien di re e margravi

pasteggiarono a lungo urbane folle

e anche con ritardo frastornante.

Handel e Bach appuntino mantecati

hanno a lungo ingollato azzimati travets

nei loro dejeuners megalopolitani;

oppure lacerti ridicoli ne hanno

stipato nei personali telefonini,

ridotto in irritante suoneria

in qualche sveglia albale o mattutina,

spezzato in anguste celle negli spazi

restati, nelle private segreterie,

vuoti tra imbarazzanti richieste e

petulanti risposte su debiti e crediti.

 

Il verbo democratico ha reso lindi

e avveduti, sapienti e spericolati,

così, milioni di re, duchi, margravi..

Perciò l’intellettualistico criterium

di qualche tempestivo genio acustico

ha convinto che urgente era dotare

tanta così emancipata umanità

di una espressività che ben si attagli

al suo dissacratorio dinamismo.

Destri a percorrere con piglio energico

le strade un tempo precluse o temerarie,

così, milioni di re duchi margravi

centellinano ora astrusi ingorghi,

cervellotici intoppi delle voci,

cerebrali ibridismi di suoni e gesti;

gestori e utenti prevenuti e selezionati

con autoreferenziale compassatezza

applaudono macinando sbadigli e sbuffi.

 

Che fare?; pur vergognosi, ci accaparriamo

un posto ben distinto nelle vetture

invase da turistiche masnade

ciarliere, crapulanti, obese e infingarde,

sperando poter salvare dal trepestio

di piedi valghi, di callosi alluci,

in Africa, in Amazzonia, o anche a Celebes,

l’interstizio per cui dalla matrice

planetaria si effonde ancora il suono…

 

(6 ottobre 2003)

 

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Sibilla

Sibilla, acrilico su tavola, 70×100

La coppia e la rupe

La coppia e la rupe, acrilico su tavola, 70×100

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