13 gennaio 2006. Recuperato da un remoto deposito di inediti i tre componimenti seguenti.
Dietro i dolori al centro di una magica caccia
Ora ricordo come nel tempo giovanile
quando il glicine fioriva arcandosi sui muri
crescevano le mie preoccupazioni
del valore, del prestigio, del giudizio, della coscienza.
Lievitavano gli odori fino a iridescenti altane;
ogni lettura mi rendeva più innocente, i colori scintillavano,
lamella contro lamella, punto tra punti,
il senso delle cose pareva celato, per me,
dietro i dolori al centro di una magica caccia…
Le rondini tracciando semicerchi ingannavano o promettevano.
E io con quale fanatismo osavo assalire
anche le vite applicate a solamente un’opera!
Gli esseri dal viso astutamente rasato mi parevano,
pur entro il loro ardito profilo, pur risuonato il sibilo
della loro eletta intesa con il turbine infestante,
come invidiosi degli altri, i geni più alti, raccolti e muti,
esperti – davvero! – di tutti gli strumenti e teatri…
E a questi chiedevo la notte, più che ai santi,
tenacia nelle veglie e acutezza nello sguardo,
gioia delle favole ben animate, dei significati immobili.
Essi mi visitavano dandomi febbre e fatica,
però scheggiando il ghiaccio e intessendo legami
mescolavano superbia e umiltà, rischiaravano l’anima,
guidavano il corpo tra proficui rimorsi e promesse
sicché scaltro nel giorno toccavo i confini dei cicli…
(Roma, 1 febbraio 1965)
Ho ancora un recinto nell’Isola entro cui rifiorire
Nel buio mastico le sfrangiate paste di farina di ceci,
frutto della mia atavistica sorcellerie pasticciera.
E come, nel gusto della mia bocca agra,
come dal cuore provato in angustie e grettezze,
sale la voce di un dèmone che nessuna prigione converte!
Ho ancora un recinto nell’Isola entro cui rifiorire
così come quando ricompare la primavera arguta:
nella modestia dei miei poteri e sensi,
in lungo colloquio con la pietra che si sgretola,
con il riccio che si apre, con la pianta che profuma…
E infine sorrido dei miei timori di esaurimento;
e infine mi apro un varco nella ressa irriconoscente
certo che saprò urlare alla morte in viso,
che allevare un figlio è porsi in viaggio verso siti nuovi
senza neanche più aspirare alla fama di moda|…
(Roma, 30 gennaio 1965)
Rito dei marinai in franchigia
“E’ s’infurieranno delle cose più belle,
a cercare, possedere e operare le parte lor più
brutte, dove poi, con danno e penitentia
ritornati nel lor sentimento, n’aran grande
ammirazione di se stessi.” (Leonardo, Profezie)
Rito dei marinai in franchigia:
tempesta e canto nuovo della Terra!
Ricorda come ritornò il sorriso
sopra il volto di Demetra angosciata
per il ratto divino di Persefone:
“…Baubo solleva il peplo, e mostra tutta
la matrice; di quella vista gode
Demetra, e infine accetta la bevanda…”
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Rito dei marinai in franchigia;
parata, varietà, seminario, clinica
di rosee cicatrici, di neri tatuaggi.
Una folla li teme o li disprezza
perché non colgono frutti del suo recinto,
respingono con furia i sognanti idilli
di gioventù bavose impaludate
in sentimenti disposti in una giostra
secondo cavallereschi cerimoniali
e ansiose di esibire i loro trofei…
Ora ricordo le fresche sale estive
precluse al sole e agli echi della gente,
ai sentori dei lignei rottami arsi
nei vani delle macerie portuali.
Ora ricordo le fresche sale estive
tempio di intense luci artificiali
e dei sentori e ritmi della carne.
Nello stallo regale sta Proserpina
appena reduce dal triste itinerario
su cui pesavano piogge, venti, e vermi;
disposta come un anziano ambasciatore
che sa come la guerra si impone e trascorre,
mormora in tutti i gerghi dei Continenti…
Giungono i marinai con i baschi in bilico
sui crani, i raggi aurei delle dita
scagliano i dadi di risate aperte
sopra i merletti grigi dei sofà
odorosi di polvere e di muffa.
Al crepito delle formule galanti
il Mare si insinua e canta entrola Terra;
Ade scherma le lampade e si appiatta.
I convenuti delibano il piacere
masticando, celiando, contrattando,
come approdati a trascegliere un destino
in una affollata piana oltremondana…
Nel grigiastro languore di vivaio
accanto a ciascuna femmina compare
l’emblema che le assegnano i Bestiari:
la Cagna claudicante,la Scimmia irosa,
l’avida Scrofa, la ronzante Ape,
la Colomba dal soffice piumaggio,
la Formichiera dalla lunga lingua;
e le Mezzane assegnano nuovi nomi
a emozioni smarrite appena esatte,
salse sui cibi, forge di metalli…
Su tali fili si tesse l’impresa.
I Ballerini tutte ora disserrano
con forsennati colpi delle chiavi
le energie troppo a lungo trattenute;
fondendo brutalità e galanteria
riscoprono sugli omeri muliebri
feline decorazioni, nauseanti balsami,
culmini, eclissi del visionarismo.
I Brindanti hanno tolto la sordina
al pianoforte della fantasia;
e quelle che ancheggiavano stancamente
scialbi sorrisi esponendo tra le gote,
sorbita qualche aromatica tisana,
pattuiscono soste di più ore.
Gli specchi più non mostrano menzogna
allo scrosciare delle carni bianche.
Al moto dei rampanti corpi, ormai,
ad ogni volta del rondò lanciato,
gli steli delle piante salottiere
si gonfiano palpitando come vele
sui travi di lussuosi vascelli antichi;
negli intervalli unanimi puoi udire
l’allarmato squittio dei sorci in fuga…
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Rito dei marinai in franchigia.
Core che infine matura dopo il ratto;
il maschio che si distende dopo il coito
come il polipo risale su dal fondo
nella umida nube del suo inchiostro,
vela il corallo, nostalgie dispensa
sulle ferite roride e brucianti…
Rito dei marinai in franchigia.
Divinità parevano all’ingresso;
all’uscita schioccava la loro carne.
Ridendo ripetevano con Orfeo:
“Nulla di più miserabile che la Femmina!…”
(Roma, 9 – 18 marzo 1966)