Percorsi

Risentimento, in questo caso ben motivato

Non far poesia della prima soluzione

scorta al problema flessibile o severo;

anche, anzi più!, se incrocia e se si avvinghia

tenacemente con tutti i suoi elementi.

 

Rammenta la strepitosa trascendenza

che ogni generazione e che ogni età

vanta su quella che l’ha partorita

con travaglio, tra entusiasti o tra indifferenti.

 

Non sperare nell’avvento di alcun ‘meglio’

in cui si fondi memoria del tuo ‘peggio’;

e impegnati ad emendare anche la gnomica

che, irresponsabilmente, ti sto porgendo,

puntando a un terreno ben saldo tra essa e il tuo

risentimento, in questo caso ben motivato…

 

(Tombolo di Ceniglia, 9 ottobre 1995)

 

Salvacondotto schopenhaueriano…

Se non hai motivo o coraggio

di urlar “Ciarlatano!…” a un Hegel

vuol dire che non c’è un domani

per questa nostra poesia,

che gli ultimi modi del verbo

li stringono energiche mani,

li mordono feroci mascelle

e arguzia di accorti padroni

produce già frane montane,

che già tracotanti aguzzini

arpionano, squartano e vendono

dei giganteschi cetacei

la rosea carne sdegnando

di pasteggiare i romanzi

delle loro migrazioni

per oceani, entro lunghe ère!…

 

(4 settembre 1993)

 

Nota come la musica ripropone

Nota come la musica ripropone

l’entelechia del fatto, della cosa,

della persona, del sito. Tu ci entri

senza vederli; essi ti stringono

come l’abito che indossi,

ti conformano a se finché il gusto permane

in te di ciò che furono e ancora sono

in tale immisurabile durare…

 

(Cori, 25 maggio 2002)

 

Terribile è il pensiero; il pensiero scuote

Mi desto all’alba nel mio romito covo,

nel silenzio guardingo dei silvestri;

e subito trasportano lontano,

verso i giacigli di città fumose,

i focosi destrieri del mio sogno

travagliato, il feroce mio pensiero.

 

Terribile è il pensiero; il pensiero scuote

le coltri sudaticce dei rassegnati

alla misura avara del piacere,

alla compita parabola del come durare

sotto lo sguardo di draghi sospettosi,

e segna con protervia temeraria

dure impronte su zolle labirintiche

che la diurna solerzia degli urbani

ogni giorno ricopre rassegnata.

 

A un balcone guarnito di piante anemiche

si abbranca; e scruta oltre le tendine,

e scorge i corpi accovacciati in pose

scomode e irrequiete; e così li apostrofa:

“Male ti nutri, e per questo tracolli

ogni giorno, al tramonto, in torpido sonno!…”

 

Si cala in un androne fatiscente,

e vede uscire ansante la sgualdrina

discinta, e la rimprovera: “Perché avvilisci

la amena vocazione del tuo sesso?…”

 

Incontra in un cantone il dilettante

ambulante, e lo scuote con aspra grinta:

“Ti lagni per l’angustia del tuo presente,

ma sai che ciascun presente è stato un domani?…”

 

Sorprende nell’eccelso bureau vetrato

il despota che schiavi attorniano, e strepita:

“Occupi un posto lucroso, ma disponi

del tempo che occorre a scrutare il tuo trascorso?…”

 

Poi, preso abbrivio, strepita dall’alto

alle folle ormai deste e impermalite:

“Inerpicatevi tra Lerici e Turbia

con destro piede, come un qualunque Dante!

Come un qualunque Shakespeare date saggio

di scenica bravura, in un teatro

modesto tessendo imprese temerarie!…”

 

Infine, in tale atmosfera la stessa lingua

parlata si restringe in pochi nessi

vocali e consonantici; risuonano –

come la corda sonora del primo esordio

nella vita – la rima, l’allitterazione,

la trepida assonanza, il bisticcio labiale

e quello gutturale, il gesto protende

bene il pensiero su tutta la persona!…

 

(Giovedì 24 gennaio 2002)

 

Di voi, alfieri di istinto di contro a ragione

Monet, Renoir, Cézanne in veglia costante

dagli esordi vitali fino a vecchiaia artritica,

fino al giorno che vi si vide tenere

il pennello legato alla mano, fino al giorno che

teneste passo impedito dalla gotta.

 

Non tolleraste vacanza nella lettura

di questa inesauribile Natura:

gemme appena dischiuse sul ramo,

foglie ingiallite volventi dalla branca

materna (così istruiste che l’uragano è

degno di memoria quanto l’afosa bonaccia).

 

La neve e il vento, la pioggia e l’arsura,

il Settentrione e il Mezzodì, la notte e il giorno,

la Casadell’impiccato e le svanenti Ninfee;

e voi demiurghi della loro rilevanza,

elusa l’ambizione per un diverso merito

della cosa, l’Arte mostraste squama della Vita,

la Musicaeffluvio, essenza del reale.

 

Più che ossequiare l’opera vostra importa

custodire con garbo la memoria

del gesto con cui le deste compimento,

trarre ad esempio, dunque, il costume e il passo

di voi, alfieri di istinto di contro a ragione,

di voi, testimoni dell’assioma che

‘l’apparato sensorio coglie più

 di quanto accerta la mente percettiva’. (1)

 

(14 agosto 2000)

 

(1) Aldous Huxley, ‘L’arte di vedere’, XI

 

Disagio del moderno compositore

La tavola rotonda si terrà

nel fresco parterre erboso del Castello

in cui Lucrezia Borgia soggiornava

per congegnare veleni micidiali

da dispensare ad amanti rinnegati

o a fastidiosi amici degli amici…

I canuti vegliardi musicisti

dopo la lenta scalata per vie strette

del borgo, emersi, si sbaciucchiano ed abbracciano

e molto allegramente si interpellano

sugli ultimi prodotti dei loro ingegni

anche estasiando le querce vigorose

silenziose centenarie spettatrici…

 

“Disagio del moderno compositore!…

–  sento uno esclamare – E’ il ‘carisma malato!’

Noi siamo musicisti, non missionari!…

Il materiale trasmette la vicenda

del suo prodursi. Il pubblico, semmai,

provveda ad adeguare accortamente

la propria appassita capacità di ascolto…”

E, rassegnato, si rassetta sullo scranno…

 

Oh, ingenua fantasia di mia adolescenza,

l’attesa trepidante di quel ‘genio

dagli occhi di tiranno’, emersoniana

invenzione, trepida attesa, auspicio

di Chi, potente a instradare in proficui percorsi,

gli aneliti scomposti o temerari

espressi in un intermezzo farraginoso

da alcuni avventurosi suprematisti!…

 

Ora masnade di cani, in notte buia,

trasmettono con foga esasperante

le loro inestricabili proposte;

ed è da dubitare che consentano

qualche indulgenza per nostre nostalgie…

 

(2 giugno 2000)

 

In Cnosso, dall’alto di un colle verdeggiante

In Cnosso, dall’alto di un colle verdeggiante

e ben fiorito, scorgemmo noi Pasifae

ben abbrancata ai lombi del suo toro.

Infissa nel suo membro, palpitava;

i suoi ululati e i muggiti del suo ganzo

al nostro orecchio giungevano gradevoli

nella distanza già spettacolare…

Ma quando,  compiaciuto, impostò Dedalo

il registro prosastico a melliflua

intonazione, il complesso di quei suoni

spiranti da lontano o appena emessi

fu musica attuale e avanguardistica…

Pensa, ad Atene le fanciulle ancora

durante la luna piena di mezza estate

si spargono nei campi per raccogliere

rugiada da macerare in misture magiche

con cui riattrarre a sé il distratto amato,

indurre a rassegnazione il tradito o il geloso…”

 

(Giovedì 2 marzo 2000)

Trascorre nel crepuscolo vespertino

Trascorre nel crepuscolo vespertino

eccitato da cimbali e da sistri

giuocati dall’idolatrico senso comune

a passi di frenetico balletto

il Corteo variopinto dei Tecnocrati.

Scoppiettano e lampeggiano le leghe

di orgogliosi metalli ora convinti

al fascino dell’ibrido e del meticcio,

barre di acciaio, lingotti di oro e platino

tramati di vene bronzee e nicheline,

prodigiosi cristalli ben soffiati

rassettano le vedute degli oggetti

in scenografiche quinte plasticate.

 

Gli alambicchi corteggiano le pulegge,

le catene incapricciano i ferodi,

gli stantuffi si aggrappano alle bascule

come priapi durati in lunga astinenza.

Levano insegne e stendardi con ben incisi

i simboli appuntino modellati

da remoti Utopisti in severi trattati

i renitenti alla leva del Progresso

mentre asmatici fradici Futurologi

sadicamente li pungolano e sferzano.

(giovedì 2 marzo 2000)

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Per Gilgamesh