Anni 70
Venerdì 25 maggio 2012
Rinvenuti tra inediti di vari decenni fa i due componimenti connessi a uno stesso momento delle mie esperienze teoretiche, li ho trascritti qui di seguito, già ruminando mentalmente come ridurre immagini e concetti che essi contengono a inneschi di due distinte creazioni musicali…
F a d y
“Vi sono molte parole che si usano in un certo significato per il re (o la regina) e che non potrebbero essere usate per altre persone…Il re ha il potere di rendere certe parole ‘fady’, vale a dire di proibirne l’uso sia temporaneamente che per sempre…”
(Last – Notes on the language spoken in Madagascar, J.A.I., XXV, pag.68; cit. in Levy-Bruhl –
Psiche e società primitive.)
Annaspo, come il vetraio con la pasta
incandescente, per condensare le mie idee
sopra la carta ancora bianca e splendente…
Sì, forse non dovrei scrivere né per me né per altri,
dovrei rassegnarmi a languire dimenticando
quali colori si adattano a gioia e a dolore.
Ma: “Tu come stai? – domando – Il tuo corpo
come sopporta l’assalto degli acquazzoni
autunnali che saccheggiano sulle colline
quelle aromatiche essenze dei vigneti
che tanta parte ebbero a plasmare il tuo estro?…
Come stai tu, toccata dai Momenti
Musicali di un Rachmaninoff – di uno Chopin
attempato preciso nelle cadenze
conclusive ma per nulla indulgente
a iterazione dei suggestivi accordi,
eppure caldo di quelle moine materne
dapprima sensazionali e appresso pacate…?-
Un brivido epilettico scuote la mia pelle
per l’ansia di definire ambienti e climi
del mio sostare qui, del tuo laggiù,
del mio progettar la sagoma adatta all’oggetto-
poesia, -quadro, – musica, – scultura;
sono come un selvaggio che inventa, andando
lungo un sentiero ombroso, nomi diversi
per oggetti contigui ma variamente esposti
in sempre nuove stagioni della vita.
Per questo mi giova il ricordo del tuo occhio;
brillante nella gagliarda sopportazione,
impone che sia un messaggio ben ponderato
quello che si decida di indirizzarti:
che non contenga una sillaba del nome
che si dà al tuo malanno!… Tu lo puoi rendere
fady così sorridendo accogliendolo
nelle tue udienze di limpido eloquio
ancora e sempre, come non ti avesse
solcato le bianche carni più di un bisturi!…”
(Roma, 21 settembre 1973)
Aori
Ho annerito il mio corpo; come Aori.
Scintillano i miei occhi; come gli occhi di Aori.
Ho un fiore violetto tra i capelli; come Aori.
Indosso il costume di Aori; parto, come Aori.
Danzo sul pontile a cui attracca il battello; come Aori.
Apro le braccia come Aori dispiega le ali.
Io viaggerò, dunque; come Aori.
Una laguna celeste avrò dinanzi, con soli
puntuali, venti intriganti, aromi energetici
protesi da mani angeliche o forse diaboliche.
Ecco, il battello si scosta; sto viaggiando; come Aori.
Io sto viaggiando, dunque; come Aori; ma: sono Aori?
Troverò felicità o scorno, all’approdo?…
Questa mia civiltà malata mi pesa sù
e accanto, con quei saluti rattristanti dal molo,
dalla finestra, di quelli che rimangono
centellinando pozioni mal drogate,
sbirciando scorbuticamente la clessidra.
E se intono a un tratto un certo motivo
con fremito orgoglioso ricordando
con che puntiglioso studio me ne appropriai,
allora pretendo che ci si adattino questi versi:
“Io sono te, Ludwig, in cospetto della Natura!
I miei vizi e le mie virtù sono ancora quelli
dell’animale mitico da cui siamo promanati.
I nostri messaggi, se altri vorranno carpirli,
perpetueranno la fertilità del mondo!…”
(Roma, 3 gennaio 1974)
18 dicembre 2007. Recuperati da un deposito di inediti i tre componimenti seguenti.
Quando Eros insorge
Quando Eros insorge
e frusta coi fianchi flessuosi
la bianca campagna invernale
e nel nitore dei profili inerti
insinua i fremiti di primavere greche,
borbottii favolosi del clan di Lesbo
(fainetàimoi kènos ìsos zèoisin
emmenòner òttis enantiòstoi isdàinei
kài plàsion àdu fonèisas upakùei!…), (1)
la rana casalinga e paesana farfuglia,
dentro il cespo di acanto fiorito improvviso,
come nottambula in travagliato dormiveglia,
di gelosie, ultime esche alle energie
rimaste dopo lo sguardo, il bacio, il coito,
dopo i discorsi e i canti di esordio e di chiusa
incisi in alabastro salgemma e quarzo
e poi esposti alle viste miopi
dei rassegnati, al crivello degli scettici…
Quando Eros insorge
e stana dallo stillante scoglio
il cerilo capriccioso o impigrito
e nella mente insinua e aizza il tarlo
perché escogiti musiche esilaranti
e irripetibili versi cardino l’aria
(oh, allora, sì, ci sfiora il dubbio che l’accademia
possa almeno raccogliere l’eco di emozioni autentiche
sui carri cerimoniali e nei tabù nevrotici!…)
io mi rammento che il dolore sempre
prostra alcuni, altri rende più forti e nobili
e fertili. Questo messaggio di solidarietà
posso offrirvi: tutto ciò che una volta vi è mancato
può traboccare domani dalle tasche
di un vecchio abito di esiliato; profumeranno
le mani le bizzarrie di cui disponevate
per i vostri giuochi infantili, per i vostri
esuberanti sogni giovanili!…
Quando Eros insorge
e frusta coi fianchi flessuosi
la bruna dolomite dei nostri orgogli,
– e li poniamo nelle pagine festive
nel libro di familiari fotografie
con quale tenerezza verginale!…-
(“Ecce deus fortior me, qui
Veniens dominabitur michi!… D’allora innanzi
dico che Amore segnoreggiò la mia anima!…”),
io nello sfavillio di un diamante azzurro
con occhio di rapace vado esplorando
immagini di un s u o tempo ormai remoto
in cui non ero nel s u o cerchio magico,
con ali di libellula percorro
i s u o i affetti intermedi, magari mediocri,
con questa voce di fanciullo approdo
nel s u o orecchio guardingo, nel s u o cuore
corso da impulsi nuovi, squassato dai dubbi…
Quando Eros insorge
e frusta coi fianchi flessuosi
la tetra mediocrità della fabbrica umana
enorme, triviale, flaccida, maleodorante,
e nel teatro ci si pigia e ingiuria
nell’ansia di afferrare il verdetto morale
(ah, studiate da quali personaggi
giunge più persuasiva la voce ammonente
che il Fato da lungi tonante stana e incita!…)
io posso profetizzare una vita migliore
a quanti mi stringono la mano
o dal buio mi chiamano con orgasmo
sperando o sull’argilla della Noia
hanno saputo plasmare un idolo o un simbolo,
hanno affilato la virtù spontanea
nel vortice delle trombette petulanti:
“Sì, Amore accompagna da nascita a morte, sì;
ma si fa manifesto sulle vette!…”
(Roma 18 dicembre 1971-23 settembre 1972)
(1) – Saffo: “Mi pare uguale agli dei l’uomo che ti siede di fronte e da vicino ascolta la tua dolce voce…”
Lui forse è il dio mendicante
Lui forse è il dio mendicante
ermetico, dimesso, primo grappolo d’uva
pòrto al gusto interdetto del fanciullo.
Lui tutte le tradizioni dicono giunge al crepuscolo,
bussa alle porte di case colme di tepore
per patrimoni sostanziosi e pietanze gradevoli,
forbice che apre i sentimenti tessuti
in terre su cui le ombre si stagliano nette
lungo le vie selciate, entro i boschi, nei giardini…
Lui forse è il dio mendicante;
lui attraversa gli itinerari dei terrestri,
lui sorprende le bocche ridenti, gli occhi che ammiccano,
lui origlia alla porta dell’umile, lui sopporta la rampogna
dello scettico che gli porge l’obolo ma lo irride.
Bianca è la spuma del mare; nei romanzi plana
la virile emozione in punti imprevedibili;
bonacce e uragani così sorprendono
nave che si orienta decisa tra due continenti.
Lui forse è il dio mendicante;
è lui che sprona le intelligenze dei rassegnati,
è lui che colma di sogni utili le notti dei solitari,
è lui che vendica i sessi delle spose trascurate.
Lui si farà specchio dei tuoi ricordi e rimorsi:
sequestrerà il tuo dèmone personale
quando la civetta si leverà declamando alle tenebre,
dalla catasta dei legni tarlati,
la lista dei poteri non spesi o mal spesi!…
(Roma, 4 giugno 1973)
Domani brillerà sufficiente sole
Dinanzi all’eternità che la notte disvela,
stelle infisse sulla lettiera del pudore
con mille orgasmi, piedi sgattaiolanti
fuori dell’humour finale del Guitto,
che vale domandarsi: “Sono ubriaco
o sobrio?, allucinato o sognatore?,
razionale o fantastico?…”
La grafia
dobbiamo interpretare! La grafia
trova convincenti argomenti, si districa
nell’ora tarda, nel ricordo compromettente.
Per questo dunque mi accingo a governarla,
la mia grafia, in procinto di assopirmi
nel dolce ricordo di Donna molto amata
se anche non posseduta. Essa di molti
gesti sa ben esporre testo e glossa.
Ah, sì, davvero aprile è un mese crudele,
Madame Sosostris, nelle lande boreali
del pianeta raffredda i corpi e la poesia
stirring dull roots with spring rain; (1)
e un anno ha preteso suicida un Majakovski,
l’anno del vostro Dio millenovecentotrenta,
quattordici di aprile! (Io non avevo
ancora compiuto un anno del mio esistere).
Ma ora che ho in mente ben allineati i segreti
crivelli della mia indole semitica
utili a circuire e ingannare i miei ospiti
occasionali riguardo all’ora del mio rientro
notturno nell’albergo, riguardo al sapore
delle pronuncie longobarde che le mie
guide turistiche hanno preteso impormi?…
Domani brillerà sufficiente sole
perché tu possa proporre il tuo divorzio
con gesto disinvolto, spediti argomenti,
alla sposa che rifugge dal procreare
non perché abbia utero ormai fatto avaro
ma perché ha avari cuore, casato, razza…
“What you get married – ti basterà dirle –
for if you don’t want children?”(1)
(Cortona, 14 aprile 1974)
(1) Th. Stearns Eliot –La Terra desolata
22 settembre 2005. Recuperato da un deposito di inediti il componimento che segue.
Sogno degli uomini una città ben verde
Il secolare pino, la colossale magnolia
che svettano nel sole di maggio limpido
dai nostri cortili umidicci, che protendono
contro il nembo invernale dai nostri viali
pretenziosi la fiera cervice, dovremmo
davvero sogguardarli con umile sguardo
dal groppo del piede calloso al rameggio minuto.
Le loro membra prigioniere grattano
i muri esterni del civile carcere
mentre inzeppiamo stomaci e cervelli,
noi guadagnati ai ritmi pervicaci
di alcuni corollari con cinica enfasi;
i loro sguardi si allungano e protendono
verso spiagge di oceani di peso immenso.
Sono giganti capaci di confidenza;
nulla dei nostri romanzi temono o soffrono;
però sul podio lussuoso del despota clanico
le loro foglie volteggiano e cabrano
come le squame della mia epidermide
sul traffico angustioso del formicaio
pedonale, dell’ingorgo motoristico.
Sogno degli uomini una città ben verde,
con luoghi di sosta e silenzio per gli affannati,
dispense di cibo sano e di balsami teneri.
Però l’architetto geniale non sa collaudarla;
e già le generazioni nuove dileggiano,
mentre egli contratta spietate parcelle,
la stanza in cui si esporrebbe in luce migliore.
(4 maggio 1978)






