1 gennaio 2011. Recuperato da un remoto deposito di inediti il componimento che segue.
Ah, l’arte conveniente agli affetti dei grandi!
In solitaria villeggiatura riflette
sul poco credito che ancora si accorda
alle sue cose: romanzo, poesia, dramma.
“Certo è già ingenerosa questa pretesa
di tacitare i fremiti del nativo pudore,
di circoscrivere le ombre poco nitide
di dignitosi elevati pensieri
che neanche il contestatore più accanito
parodierebbe in una così noiosa estate…”
Eppure, ecco, analizza con puntiglio
i propri perché, gli ausiliari vanitosi,
nel limpido mattino con molti dialoghi
di casigliane in vestaglie rosse e verdi:
“Forse – inquisisce – vado troppo mal vestito?
Dovrei con studiata lentezza pasteggiare
cinte e cravatte, prima di adattarle
al ventre e al collo su stirati panni!
Le pieghe delle stoffe dovrei amarle
con assoluta fedeltà e trasporto, sì!…
Ma tutto è giuocato qui dunque il mio credito?
Via, proprio ieri qui chi era che
notava la civettuola trasandatezza
con cui recavo in spalla una giacca di daino?
Dovrei meglio curare l’emissione
della voce, quando recito le mie cose
all’entusiasta curioso…Certo, a volte,
è come sciorinassi nuda e cruda
la tetra anatomia dei miei cadaveri
metaforici, anagogici, anaforici.
E invece all’ortoepia dovrei davvero
almeno dedicare un sonetto o un’ode;
ma non nel gusto barocco di idolatria
delle forme, d’accordo, ma con scettica
curiosità, con machadiana enfasi;
poi reclutare l’annoiata compagnia
dei sazi e degli inutili; essi, infine,
someggiano la poetica salmeria
lungo i crinali di fantastiche traslazioni…
Dovrei seguire (ma, per carità!,
serbando la preziosa e la fatale
autonomia dal candido chitone,
dal capriccioso boccolo!) la via
degli Arrivati; copiare i loro gesti,
lasciare a metà nei piatti le pietanze,
sposato il loro prezioso galateo.
E poi essi, i Serenissimi Arrivati,
gonfi di sali lagunari, là,
nella spaziosa loggia veneziana,
di quale confidenza farebbero grazia
ad un così scimmiesco imitatore?…
Dovrei sorprenderli, nell’ora in cui
sul loro chilo e sulla loro siesta
cade l’ombra vigliacca di Campoformio,
con ben studiati sorrisi di simpatia,
farli ammirati almeno di un mio genio
di folle, di primitivo, di infante, di guitto?…
Dovrei giuocare a bocce con il Parroco
e con il Federale, sfidare agli scacchi
il Mercante Aggiottante! Infine, hanno
dei familiari di modesto pregio, sì,
ma con fisionomie di effetto estetico,
pareti da intonacare nelle case,
curiosità bambina, orgoglio permeabile…”
La cancrena cominciava a lacrimare
con note di gretto suono all’orecchio del mostro,
nel vano del tronco massiccio che aveva adattato
a guanciale; verisimili sogni prendevano
le tinte stilizzate dell’abitudine…:
“Ah, ma lassù non si giunge ad aver successo
se non si è ben saziata la coscienza
con lento rosicchio delle unghie anemiche.
Dovrei rinfocolare, nella mia casa
il culto della mia persona; ma – Dio mio! – come
potrei, mancando acqua, spedire mia moglie
alla fontana con dei fiaschi in braccio
avendo posto in lizza le due nostre
martirizzate e prometeiche dignità
come fossero galli da battaglia
tenuti a freno in un patio messicano?
Essa è bene anche figlia di un magistrato!…
Tra l’uno e l’altro sparo di un cacciatore
i guaiti di cani adulatori
ferivano nella speranza più verde e odorosa
i pochi spettatori nauseati
dai troppi truculenti drammi silvani;
la loro servile crapula però inebriava
selvaggiamente i rassegnati e gli eterni indecisi
ai bivi di polverosi, deserti sentieri.
“Quanti simili a me – pensava – pure
si sono resi convinti, ad una età,
in una precisa stagione di forma fatale
soffusa di descrivibili malinconie,
che qualche pregio recano quei motivi… –
scrollò le spalle, sorrise amaramente –
Dobbiamo dunque coraggiosamente
tutti imbrattare le quattro pareti
di questo nostro sacello provvisorio!
L’acume storico è un letto molto scomodo;
ma è risaputo che nella notte a volte
trilla improvvisamente il campanello
chiassoso e bene induce il Profeta, il Duce,
l’Episcopo, il Fraticello, il Sergentino,
o anche solo la Recluta caccolosa
a riconoscere l’ineluttabile destino.”
Ed ecco, tutto il suo orgoglio ora si raduna,
come una Grande Armée ben dotata e speranzosa,
a Boulogne, preludiando una sua Anàbasi,
al grido di ‘Onore! Thàlatta! Onore! Thàlatta!…’
I corni inglesi rassettano alle trombe
i gonnellini di anacronistiche vivandiere,
cavalca Fabrizio Del Dongo un cavallo non suo.
Con comica attenzione ora si sente
spronato a delineare sulla carta
i volti e i corpi bene infagottati
delle napoleoniche cortigiane
che fanno ressa attorno a François Gérard:
“Dateci saggio consiglio voi, maestro,
su come meglio trattare il ritratto che avete
appena concluso del citrullo Re di Roma.
Domani uno squadrone di corazzieri
partirà da Parigi per recarlo,
ancora così odoroso delle vernici,
al padre, tra le tende, sulla Moscova.
Non subirà alterazioni, vogliamo sperare,
nel suo trascorrere per lande paludose
e alpestri valichi? Ma gli schianti dei boschi
carpatici potrebbero screpolare
le vostre (ed ora sue) preziose tinte?
Ecco già pronti ai vostri sagaci indici
i carpentieri, i fabbri, i falegnami,
gli imballatori, le corvées della Reggenza
(assente giustificato; e, poi, neanche
indispensabile – comprendete?… – il cavilloso
generale Malet, per diarrea e tosse…);
suvvia, impartite i sospirati ordini;
verranno tutti eseguiti col massimo impegno.”
Allora, così richiamato dai palpiti ansiosi
delle megere ai crismi legali, il pittore
di corte, il Genio Grazioso, sorridente
come una scimmia posta dinanzi a uno specchio,
lascia la strada ferrata del netto interesse
tutto immedesimandosi nei dettagli
dei finali amminnicoli del gesto:
Iconografo in moda si netta i piedi,
cordonato Servente netta la cima
del pennello di martora sul panno
di pelle di una cornuta renna, annusa
da una peripatetica tabacchiera
il tabacco d’Egitto alquanto stantio;
e, schiarita la voce, con sussiego,
ora impartisce con barocchi fronzoli
a eletti pretoriani la sua lezione
di imperiale imballaggio e facchinaggio.
Tutti, poi, a cena. Si arrostiscono le carni;
le pelli che si contorcono e il puzzo acre
dilatano gli stomaci degli adepti,
infondono sana energia nei corpi scattanti
e danno una piega gentile ai loro fervori
così che posino adagio sulla pagina
del tomo storico, farfalle di bella tinta.
Si fanno brindisi in pro del quadro e della
sua scorta pachidermica e alquanto alticcia:
“Ah, l’arte conveniente agli affetti dei grandi
come spartisce bene anche sui minimi
essenze e aromi del maggior prestigio!…”
E infine, serrato il portone ben chiavardato,
sul foglio si rassettano le figure
di tutti i personaggi della farsa
con appropriati grafismi complessivi
come nei nostri barattoli di cristallo i frutti
ridotti in saporite marmellate…
(San Polo, 17 agosto 1967)