Paesaggio che accoglie un’apparizione
tecnica mista su carta
2002
Il catalogo della mostra “Tra Ancestrale e Waste Land, frequentando Utopia”, di Normanno (Luigi Romano), che si è tenuta a giugno 2015 presso lo studio dell’Architetto Emma Cavallucci a Roma.
(cliccare sull’immagine per ingrandire il catalogo)
clicca per ascoltare Memoria di Isaac Babel (musica per pianoforte), 2013
Poesia e immagine del mondo
(Intervento su ‘Attraversando i saperi’ – Monte Porzio Catone, 11 maggio 2006)
(stralcio)
Comincio col chiedere: la vostra richiesta a un poeta (o presunto tale) la avete collocata in calendario quasi al termine di un ciclo intitolato “Attraversando i saperi” forse perché convinti che l’opinione che verrà espressa da poeta o letterato ha minore rilevanza e significatività, nel complesso ideologico di questa età storica, di quella espressa da scienziati, tecnici, antropologi, etologi, operatori politici, ecc.?
La domanda non è né capziosa né retorica. Io stesso propenderei per una simile classifica di credito minore da assegnare a personaggi che intendano poesia ed arte entro la modesta pretesa che più avanti delineerò. Sì, perché molta della poesia in circolazione nel tempo – e non dico solo quella dei duecentocinquantamila poeti dilettanti censiti in Italia, a quel che mi risulta, che pur riescono a racimolare encomi e premiucoli perfino in località di vacanze balneari e in stazioni climatiche per podagrosi o artritici – ma anche molta di quella edita da grossi editori e osannata e reimposta autoritariamente in sedi universitarie e in rubriche di rotocalchi di grande tiratura e in sede di rinomati premi letterari, piove normalmente sui cervelli di un pubblico che non ha alcun interesse alle questioni che essa tratta, ai settori del vissuto di cui mostra interessarsi; e sì, ancora, e all’opposto, perché anche quella poesia rara che ostenta separatezza dal rimario convenzionale e che vivacchia lontano dalle arene in cui fanno strepito le fanfare accordate sui best seller non registra, di regola, più dei venticinque lettori di manzoniana memoria. A riprova il fatto che anche personaggi dotati di ingegno ermeneutico in qualche disciplina affine pretendono usualmente di esprimere giudizio su tal genere di poesia senza neanche pervenire all’ultima pagina del libro e senza concentrarsi per desumerne il senso più o meno celato dietro la immaginativa allusiva o metaforica.
E’ il momento allora di accertare che cosa intende per poesia chi è stato in un certo senso costretto a parlare qui oggi.
In “Cosa significa esser poeta in Ninive” (pag. 80 di “Poeta in Ninive” – Book ed., Bologna, 1999) do una ironica e sbarazzina rappresentazione di quegli atteggiamenti e modi e cerimoniali e crediti nei quali si fa consistere, in una società destinata a venir memorata dopo la sua estinzione cruenta, il mestiere dei poeti. E’ evidente, al fondo della ironia, il giudizio severo che vi è alluso riguardo alle scelte di vita e di gusto della contemporaneità; ma è anche evidente la determinazione a porre sul conto della poesia altre e ben diverse incombenze, alternative e ben più utili; dunque, impliciter, il distacco da certe concezioni di poesia e poetare che, con sintesi sbrigativa (ma all’interno della quale potrei caratterizzare vari sottoprodotti della inventiva contemporanea) situo tra due estremi: quello che restringe il poetare al sentimentalismo patetico e occasionale e quello che lo intende come cerebrale congegno di parole con più o meno gradevole effetto auricolare. (4) Read more…
Io confusamente anelando a famiglia e focolare
non riuscii a concepirti che come personaggio
del mio spettacolare romanzo, figliuolo, dotandoti
di immediato, scaltrito raziocinio, di spedita
loquela, come cartacea essenza e volatile spirito.
Giacché fin dagli albori del mio vivere,
stordito dal tanfo e dai liquami tra cui, appena
era trascorsa la mia carne rosea per altro incosciente
nel tratto persino rischioso di quel tragitto
che in lapidaria sintesi ti riassumo:
Inter feces nascimur et urinas!, Lemuel,
mi sono persino costretto a innaturale rispetto
della femmina eletta che avevo educato
e forse inopportunamente idoleggiato…
Eppure, vissuto rinchiuso in pudibondo stallo
tra sussurri malevoli e sospetti fumosi,
ho sparso anonimamente la fine granaglia
che macinavo in cerebrale insonnia.
Con tali risorse e rèmore sono anche riuscito
a sovvenire di provvidi consigli
una regina, un re, finanzieri, ministri,
persino disarcionare – cavalcando
nel quotidiano maneggio il mio ronzino –
un Malborough borioso e guerrafondaio,
a strigliare e sferzare poetastri melliflui,
asfittici scrivani che si spacciavano per neòteroi
in Accademie appuntino rassettate,
a preservare dalla bancarotta
il reddito modesto del mio popolo!
Ora, tra vòlte in cupo silenzio del mio Decanato
nelle senili nebbie rapprendendosi
la mia satirica verve, ti sollecito: “Corri
il tuo ultimo viaggio, figliuolo!…, spènditi
quella immortalità che ti ho ben composta
per godimento di pòsteri magari improbabili!…
Io le energie residue del mio repertorio
piuttosto che disperderle in diatribe domestiche
le serbo per consigliare al mio Creatore
più congruo impianto del cosmo e del corpo umano
in una eventuale ulteriore sua impresa!…”
(Cori, 28 ottobre 2012)
Già in letto, con gesto destro della mano,
ridotta flebile la voce chioccia
di un certo speaker che con piglio frivolo
preannunciava alla radio canzoni frivole
accompagnate da chitarra e banjo,
e con bizzarro impulso richiamata
l’immagine del padre, fustigatore
dei suoi melismi infantili, a reiterare:
“Non dant carmina panem!…Ma, di’, scippato
al mio puntiglio il deprecato pianoforte,
per caso pretenderesti chitarra e banjo?…”,
l’ariosa sceneggiatura si intese a tessere
convinto che si debba incoraggiare
a porsi su vie più utili al comune interesse
l’ambascia del vivente in astrusi climi
e quella del poeta in consunte tesi.
Aveva, dico, evocato il suo padre estinto,
e orante in parlata autentica e antica,
e con verve isolana di molto esperiente;
e dunque si pose a volgere in compiaciuta
autofustigazione così il dettato di lui:
“Chu chiddu chi sta succerennu hai autru chi
pinsari a chitarra e banjo pi’ fari ciantona!…”
E appresso, sorridendo, ruminava,
intanto distendendosi tra le coltri:
“Ecco, così giuocata argutamente
l’avara deprecazione, nei miei cordiali
sogni sprofonderò questa notte ancora,
vegliardo riconciliato per mia destrezza
con quel padre vegliardo rimasto scettico
su quel che è pregio o merito del carmen;
e forse neanche stanotte trapasserò…”
(Cori, 9 settembre 2012)
Da me non sollecitare sanzione o plauso
quando mi esponi impressa con lesti segni
su bianca carta tuoi versi recenti o antichi.
Dici piuttosto dove eri quando essi insorsero
nella tua mente, da dove venendo, da quali eventi
imponenti o modesti contaminata,
con che memoria concreta del tuo trascorso
terrestre, con quali intoppi nel tuo precordio;
e, infine, con quale ragione stimando utile
fermarli come canto speranzoso
o come desolato strido o nervoso espurgo…
(Cori, 22 agosto 2012)