Io confusamente anelando a famiglia e focolare
non riuscii a concepirti che come personaggio
del mio spettacolare romanzo, figliuolo, dotandoti
di immediato, scaltrito raziocinio, di spedita
loquela, come cartacea essenza e volatile spirito.
Giacché fin dagli albori del mio vivere,
stordito dal tanfo e dai liquami tra cui, appena
era trascorsa la mia carne rosea per altro incosciente
nel tratto persino rischioso di quel tragitto
che in lapidaria sintesi ti riassumo:
Inter feces nascimur et urinas!, Lemuel,
mi sono persino costretto a innaturale rispetto
della femmina eletta che avevo educato
e forse inopportunamente idoleggiato…
Eppure, vissuto rinchiuso in pudibondo stallo
tra sussurri malevoli e sospetti fumosi,
ho sparso anonimamente la fine granaglia
che macinavo in cerebrale insonnia.
Con tali risorse e rèmore sono anche riuscito
a sovvenire di provvidi consigli
una regina, un re, finanzieri, ministri,
persino disarcionare – cavalcando
nel quotidiano maneggio il mio ronzino –
un Malborough borioso e guerrafondaio,
a strigliare e sferzare poetastri melliflui,
asfittici scrivani che si spacciavano per neòteroi
in Accademie appuntino rassettate,
a preservare dalla bancarotta
il reddito modesto del mio popolo!
Ora, tra vòlte in cupo silenzio del mio Decanato
nelle senili nebbie rapprendendosi
la mia satirica verve, ti sollecito: “Corri
il tuo ultimo viaggio, figliuolo!…, spènditi
quella immortalità che ti ho ben composta
per godimento di pòsteri magari improbabili!…
Io le energie residue del mio repertorio
piuttosto che disperderle in diatribe domestiche
le serbo per consigliare al mio Creatore
più congruo impianto del cosmo e del corpo umano
in una eventuale ulteriore sua impresa!…”
(Cori, 28 ottobre 2012)