Ricorre nelle volute del tuo canto
la naturale, la terrestre epica,
deplora come altero protagonista
lo scempio che del creato ha fatto l’uomo;
balzando sù da sordità del gutture,
immagine, – o modello?… – delle fertili
viscere del Pianeta, della Voragine
Cosmica! Miriam Makeba, voce
della latebra terrestre, dell’aliante librato
nell’etere che Bacchilide chiama amìantos,
dell’utero fecondo della Grande
Madre e degli spettri che
nell’immaginazione traspaiono…
Ho imposto timbro e tono della tua voce
a quel mio personaggio che redarguisce
l’Umanità protesa verso un futuro
di meccaniche atone: la voce
del Continente offeso e schiavizzato,
barrito di pachidermi saggi e memori
forzati a far da sagome nel poligono
di ‘verdi colline d’Africa’, ristoro alla noia
di pennaioli maniaci votati al suicidio.
Miriam Makeba, Miriam, Madre-Africa.
Era stagione felice del mio ingegno:
componevo il mio “Durer”, istruivo personaggi
capaci di rinfacciare ai terrestri despoti
inganni e trucchi con cui usurpano il potere.
E te ho sorpreso intesa a rovistare,
Gigantesca Guardiana, in quella ricca
Cornucopia di mondi alternativi
che i Poteri condannano come utopia
quando, nelle dimore disertate
per la vacanza di massa o il volgare diporto,
impulsive fantesche lustrano arredi,
scacciano ragni e gechi dagli anditi ombrosi
in cui da sempre intessono la profezia degli esiti
fatalmente segnati ai nostri traffici
frenetici, inconcludenti e appestanti,
a tanta sconsiderata intraprendenza.
Le sillabe nel tuo canto colpivano come lapilli
scagliati sopra lo Stadio Planetario
da un Krònos irato, da un Vesuvio rovente
su una Pompei stordita in lussi sfrenati….
E’ un caso se ormai sempre più, nelle Olimpiadi
Memoriali di questo Continente
ansimante, infrangono atleti negri
nastri-traguardo, indossano medaglie
coniate con quell’oro che per secoli
faccendieri schiavisti hanno sottratto
al tuo Continente, al vostro Continente?
Ah, Miriam Makèba, Sirena e Fata,
ah, noi invano ammonenti, quante volte
abbiamo scorto puntate su di noi
occhiate di irresponsabili e delusi,
di forsennati stremati! E quando quello
che abbiamo intraveduto a tempo e ammonito
si è ben concretizzato essi che
l’acqua dell’orcio hanno tutta sperperato
piuttosto che riconoscersi maldestri
ci investono con biliose recriminazioni…
Ah, Miriam Makeba, Madre-Africa,
se anche accomuni tutti nella sanzione
pianta che anche il frutto marcio nutre
– Madre lo ricompone in più degna forma…-
l’aspro risentimento della tua voce,
tonante epica terrestre e naturale,
come di una che con noi confligge,
eppure ci sostiene come Dàimon:
cresce da sordità gutturali ad acuti volteggi,
– il gutture: immagine – o modello?…-
delle fertili viscere del Pianeta –
la lanci in melismi arditi e temerari,
melodici stiramenti delle sillabe
su motti che marchiano la ingrata coscienza
di noi dissipatori del bel creato.
(8 settembre 2009)