Profumano di lavanda le colline
nel caldo sole che infine le accarezza
mentre in lontani continenti ancora
infierisce uragano, terremoto,
franano i poveri aneliti di miglior vita
consentiti dai despoti a miseri popoli.
Salgo, traendo a mano la bicicletta
– e faticando, e mi infradicio i piedi… -,
la mulattiera che sale a Sermoneta;
così, per capricciosa determinazione
di imporre aroma angustioso alla delizia
della vacanza tanto a lungo impedita…
E poi, sostando in piazza, a mezzodì,
ascolto un mio personaggio che così scuote
un altro fanatizzato da dinamismo
neanche più muscolare ma meccanico:
“Tu corri verso spazi oltre la storia.
Ma sai al fanciullo che farfuglia appena
la parola con cui tenti istruirlo
alla tua civiltà industrializzata
come riduci a ogni istante la memoria
di cose e di loro nomi che praticava
in quell’altrove, in quel diverso esistere
da cui l’ha tratto il connubio parentale?…”
Sotto l’insegna il giovane barista
paesano espone con grossolano tratto
su bianco straccio l’intricante invito
a degustare lì, oggi, il suo “assenzio
– rimarca con sorniona petulanza –
bevanda dei poeti maledetti…”
Volgo al ritorno, e penso: “Hai mai sognato
di fare tappa in una Aden o in una Gibuti?…”
E appresso si risveglia il mio Senòfane: “…all’
eikèi màla toùto nomìzetai, oudè dìkaion
prokrìnein ròmen tès agazès sofìen!…”; (1)
e resto ancora convinto che non ripaga
forzare maldestramente il sano equilibrio!…”
(Sermoneta, 11 ottobre 2005)
(1)Senofane: “…ma si giudica assai sommariamente, e non è giusto preferire la forza alla saggezza”