Dico, con irrefrenabile impulsività:
“Enormemente mi commuove, ogni anno,
la cerimonia in cui lo chef pro tempore
della Nazione rievoca le vittime
brutalmente scannate da soldataglie
in tutti i siti abitati del pianeta;
e, al termine, enunciando l’aforisma:
‘…Del che, nel nuovo clima da noi impostato,
non rimarrà che archeologica memoria
di storia che fu gestita maldestramente!…
Dunque, un dovere il perdono, stringer la mano
di qualsiasi carnefice (o magari del figlio…)
anch’esso sinceramente conquistato
dal nuovo afflato – retorico?…No! – ufficiale!… ‘ “
In solitaria marcia poi mi inoltro,
stagionato viandante, vispo wanderer,
nel paesaggio toscano, nella eletta
Lucchesia, per me sempre radiosa alcova
in cui spira, stremata sorridendo,
di nuovo puerpera, Ilaria…
In controdanza
insorge allora in me il gemello diabolico
e strepita lungo il pendio che dà a Sant’Anna
di Stazzema:: “All’ipocrita maneggio
del prete e del politico frappongo
spavaldamente questa mia esigenza:
sapere cosa passa ora nel cuore
del milite che sventrò la donna incinta
e sul suo feto infierì come Neottòlemo
sul fanciullo Astianatte; poi, fischiettando,
ricongiungendosi alla bella truppa
di intrepidi camerati in tenuta azzimata…
Come pettina oggi il capello bianco?
In quale tinta sceglie le sue camicie
e cravatte, come te mite pensionato?…”
(Lucchesia, 25 maggio 2005)