All’alba, appena desto, decido che può
intitolarsi Anfìsbena lo scabro grafema
tracciato ieri; tracciato, intendo, quando,
uscito dal rischioso malanno, di nuovo
palpavo il muro per scovarvi aditi
al reale increscioso o promettente;
e farlo magari valere come metafora
di questa nostra storia personale e generica
distesa, sì, ma protesa incoerentemente
tra nostalgie di Eden, di auree età,
ancestrali memorie, infantili idilli
e orgogliosi propositi, temerarie invenzioni,
manie futurologiche, esibizioni
di ciarlatane bravure nella diaspora.
Straniata Pastorale, se i due estremi
osserva un villano accosciato, orecchia asinina,
grinta di un Mefistofele mortificato
mentre un Fourier ben librato, papiglionaceo,
solca un nonpertanto azzurro cielo…
Anfìsbena, immagine del corso immortale,
del nostro orgoglioso rifiuto di genealogie,
del nostro idiota annaspare etimologie!..
(Cori, 27 febbraio 1998)