Preludio lacrimevole alla truculenta epica
del suo malaugurato primo coniugio:
Luglio del millenovecentocinquantanove:
“…Trieste come una nave inaffondabile,
– ma:
…questa città per esempio di tante…–
Trieste – dico – come una nave inaffondabile
giunta da luoghi e tempi assai lontani
costretta dai marosi nella rada;
azzurro cielo, colline verdi e cotte,
mare di rame, polvere di argento,
folle operose in casa e per le strade;
salgono le maree, coprono il molo,
e le montagne sullo stesso asse
seguono l’albatro in cerchianti echi
fino a luci lontane, nidi tiepidi
nel capriccio dell’ala imprevedibili…”
Vicolo delle Rose; il colmo dell’erta strada
che da Scòrcola sale ai colli, e di là,
tra assolate vigne e brune pezze
di cupi castagneti, dà a Opicina,
alla frontiera balcanica…
L’ Anziano
Magistrato Asburgico – poi Italiano –
che una muliebre zàcola ha reso muto
e taciturno per diuturna ascesi, còlto
mentre in isterico pianto esplode la nevrosi
dell’unica figlia, nubile e attempata –
“Io, sì, – strepita singultando – te ne dissi!… Ma tu…”;
lui, con il tono di un Demòdoco ormai da tempo
rassegnato al mentale discorso, alla pantomima
di flessuose fantàsime anche più adatte
a raffrenare le domestiche vestali,
spalancare le braccia, e consentire:
“Ebbene, chiamami dunque anche tu padre!…”
Ah, come di colpo, allora, gli tornò in mente
il destro incipit del Ligure Cultor di licheni!:
“Padre, quand’anche tu non fossi il mio!…–
e non era il suo; non lo era, no!… Ma da allora
come e quanto cercò lo divenisse!
E come da allora, compunto, affettuosamente
gli tenne testa nell’intrapreso dialogo
in cui lasciavano espandere entrambi la loro
da troppo tempo costretta umbratilità!
L’uno quella tua traversia balcanica del sedici,
poi il suo rasserenante rifugio tra i lirici greci,
cerebrale koinè di loro razze e sintagmi
sgorgati in tane distanti e con opposte stìgmate;
e quell’identico in loro culto istintuale
della zolla, da vangare inseminare accudire
fino a che dia poi gemma, fiore, frutto!…
Ha, sì, giusto diritto egemonico, la Madre,
su vita, iniziali pensamenti della prole,
poiché essa sopporta il carico e lo conclude
con spasimo e rischiando…; ma il Padre che
più spesso esce per sempre dalla penombra
della casa fondata con felpato gesto
e poi lasciata come saldo patrimonio
di chi volesse occuparla in un domani
magari ancora forse possibile e non solo precario,
poi, quando la cicala assordi, nel caldo estivo,
il Maschio mèmore, anch’esso reso taciturno
da traumi, sospetti, rigurgiti di Osteoporosiche
Vestali, quale ermetica stanza si fa nel cuore
dell’altro maschio in ben più stoico declino!…
“Padre, quand’anche tu non fossi il mio!…
Ah, sì, dunque, Lemuel, sii tu, almeno,
qualche poco indulgente con il tuo Jonathan!…
Ricorda: Luca, primo, diciassette: “Ut
convertat corda patrum in filios, et
incredulos ad prudentiam iustorum.”
(Cori, ottobre 2012)