O Rustico di Filippo, linguacciuto
e spietato nel delineare il tratto
dei volti, colorirli, rimboccarci
quello che dal precordio ci rigurgita!
Quanti potrei ripeterne di identici
ai tuoi clienti nel quotidiano andare
come ospite e profugo per vie
di questo ostile paese in cui sopravvivo!
Arcigni, bernoccoluti, incipigliati,
catarrosi, insolenti, svillaneggianti
senza motivo, sordastri, puteolenti
di alcol, di tabacco, di spezie vermifughe,
impastano il dialetto sorbito col latte
materno in stravaganti elucubrazioni
istantanee, ma con stentorea prosopopea
farfugliano: “Che alto è il carato della mia razza!…”
Sprezzanti con l’immigrato e il transitante,
li espongo nello specchio di questi versi.
Perché stupidamente scimmiottare
la maniera di un Gadda ridotto nevrotico,
o quella di un Sanguineti esibizionista
instancabile di frizzi ed esperimenti
se la sostanza dell’uomo permane inclemente
e non vale poesia a modificarla
sicché il Tecnocrate alticcio e burbanzoso
assurto con scaltro plagio demagogico
può sfrangere, disossare, spartire e spolpare
che preda!, la nostra comune Madre Terra?!…
(Velletri, 5 ottobre 2005)