Assai prima che Shirley, in Bronte,
dopo appena aver descritto
un pauroso temporale
si lasciasse andare a dire:
“Pure, quanto è consolante,
quando tutto torna in calma,
che si scorga trasparire,
tra le nuvole che ora si aprono,
quel radioso balenio
che assicura: intatto è il sole!…”
Assai prima che Charles Fourier
conformasse la sua Eroina
spavalda in ‘guerre amorose’,
Fakma in abito e con intese
per cui il Turbine di Cnido
ben dovrà acclamarla Santa…
Assai prima che Claude Debussy
profilasse in ritmo e suoni
Fauni e Ondine, Ninfe e Naiadi
convincenti a godere in terra
deliziante senso e sesso,
saldi stavano i ghiacciai
sulle creste delle Alpi,
esprimevano limpide acque;
i salmoni con balzi atletici
risalivano i fiumi in piena,
puntualmente replicavano
in stagioni non deludenti
il rituale pellegrinaggio
alla Mecca dell’ancestrale.
I percorsi sotto il sole,
sotto vento o pioggia, allora,
il viandante misurava
a giornate o anche a nottate,
le distanze in passi, in gittate
o di dardo o di giavellotto;
si innalzavano santuari
in siti che dèmoni ansiosi
di colloquio con gli umani
dotavano di fascino e aromi.
Era quando l’intemerata
Eloisa sapeva opporre
a quel dio che altri intendeva
come torvo sequestratore
di un suo corpo peccaminoso
il diritto delle passioni
degli umani finché in terra…
Poco appresso una Perronnelle
infuocava un anziano Guillaume,
dava spunto a quella vena
per cui un “Livre de Veoir dit”
fonde senso e suono, cose
e parole en un vergier
un vergier qui bien ressemble
de doucer le biau paradis
queve et adant eurent jadis… (Guillaume – Livre, vv.3886 sgg.)
Pur se enorme
grande è il libro:
quando arido è il contrappunto
fervorosa è la poesia,
il concetto lambiccato
porge in mèlos avvincente.
Ahi, che non vedremo mai
più che come in fantasia
kòre ateniesi uscire
nel plenilunio estivo
all’alba, succinto il peplo,
nudi il piede e la gamba,
in olezzanti prativi
e raccogliere in poche tazze
poche gocce di rugiada
per comporle in pozioni benefiche,
filtrare amorosi elisir!…
Non c’è più spazio per dire,
nel verso, dell’error fatale
a me, a te, agli altri, alla Specie!
Siamo preda di pochi despoti
ben astuti e determinati;
convinti che sia inesauribile
la miniera planetaria,
ci costringono a scavarne
anche gli anditi più riposti.
Misurano e tassano essi
gli spazi entro cui ci concedono
il sopravvivere, scorrere
per produrre lavoro o anche
transitare in schedato diporto…
Forse è l’ora di dare il passo
in quell’Oltre misterioso
da cui a te giungono ancora
o acquerelli di Utopia
o frastuoni di Sansculottes
poiché assurda è l’insistenza
del tuo biasimo, se i pochi
che vorresti giunti in schiera
si ritengono soddisfatti
appena di questo: ‘…mandare
a dire all’Imperatore…’
(Domenica 4 luglio 2010)