La pera che maneggio matura, strappata
alla fronda ramata e gettata a terra
dalla tempesta notturna, possiede un corpo
ben modulato dentro curve ardite,
un capo di fanciulla indisponente,
ventre capace e mammelle prosperose
ben custodite in sottile tegumento,
un inguine profondo in cui convergono,
come da varie parti le percezioni
del vasto senso del suo esser persona,
gli sguardi dei vecchioni che spiano Susanna…
Sì, il picciolo per cui si reggeva al ramo
è forse il rimasuglio del suo cordone
ombellicale per cui si ritrasmette
speditamente la sagoma flessuosa
di una femmina sorpresa nel rituale
della sua segregata nudità,
intenta a spalmare creme, dosare lozioni
negli anditi del proprio insieme che più attraggono
l’altra metà del cielo in clavi erotica…
Librato nel cielo azzurro del mattino
sta il genitore-albero. Impettito
e austero nella propria corteccia-corazza;
come un feudale cavaliere come
un crociato già assorto nel miraggio
della mèta lontana e contrastata
volge dall’alto lo sguardo compiaciuto
sulla figliuola attempata infine accasata
con ricca dote e corredo prezioso,
al genero sedentario e soddisfatto
del premio fortunoso alla propria pigrizia
appena un sogguardo furtivo e commiserante…
Poi, quando, varcato l’uscio del suo boudoir,
gusto la granulosa polpa del frutto
si travasa entro me la percezione
di quanti imperscrutabili percorsi,
nell’angusto cortile del nostro cosmo,
i chimici ingredienti che un Monod
un Mendeleev un Prigogine zelanti
hanno appuntato su lucide tabelle,
coprono, dando forma ad organismi
vegetali o animali, voraci o eduli,
senza che sia soffocata in alcuno di essi
l’estrosa corrispondenza delle parti.
(Cori, 14 settembre 2009)