Ad Alain Touraine,

con fraternale trasporto,

il poeta da decenni inascoltato presagente.

                                                               

“. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .             

Femmes chevauchant vagues… ho per tempo ritratto io,

le Femmine che cavalcano le onde,

la esile e volitiva, la muscolosa e provocatrice,

la pienotta ma spavalda, la mastodontica e imperiosa,

la commediante e la lirica, la bizzosa e la risoluta,

la riflessiva e l’elettrica, la frenetica e la elegiaca,

quella con voce sottile ma penetrante e suadente,

quella con voce argentina e inebriante,

quella che lascia appena cadere i suoi monosillabi

fuor della chiostra fremente che la spuma assedia,

quella che con spedita enfasi redarguisce

il comodo permanere nel consueto,

la ansiosa di scambiare confidenza e la riservata,

la puntigliosa e la festosa trascorrente,

la Fakma, gloriosa eroina della Banda Giunchiglia,

sortita dal fourieriano vangelo del ‘Nuovo mondo amoroso’,

in Cnido tradotta prigioniera e infine acclamata Santa

e ora sull’onda eretta come marina sirena,

la Effi Briest in composta mansuetudine

dei suoi trastulli verginali o adulteri

stanata dall’umbratile suo Autore,

con gesto ardito,  dall’andito in cui l’avrebbe

la guglielmina etica sequestrata,

la Pentesilea di Kleist e la Leonor di Machado,

la Susanna di Goethe e la Maria Grubbe di Jacobsen,

la Laura di Petrarca e quella di Carew,

Penelope e Molly Bloom,

la Saffo signora del Tìaso, Casa delle Muse,

quella che recita mesto ricordo

di Anattorìa ‘dall’amabile passo’,

e quella maliarda con Faone  e, suo romantico

doppio, delusa, in Egeo precìpite…,

Aghesikòra dalle belle caviglie, e,

appresso a lei, Aghidò scalpitante

come un cavallo colasseo dietro a un ibeno

nel partenio di Alcmane, volte a porgere

il manto della notte alla dea del mattino

e, infine, alcionesse energiche, soccorrevoli

per l’ormai tremebondo poeta-cerilo…

E poi Marion capricciosa e Peronnelle intrigante,

le Esther, le Rebecche, le Vanesse, le Varine

sacrificate nel carnet swiftiano,

le Anne, le Federiche, le Lily,

le Carlotte, le Marianne, le Terese

trascorse discrete o invadenti in romantici eventi,

Anne, Charlotte, Emily Bronte e Jane Austen,

Katchen di Heilbronn e Pentesilea,

George Sand in divertito spasso con Clara Wieck,

la Emma in fuga dall’alcova tiepida

del dottor Bovary depresso ed esangue,

le Anne oppresse dal massimario uggioso

dei Karenin, le Kitty benefiche agli ansiosi Levin,

Selma Lagerlof in discorso con Sigrid Undset,

Hildegard di Bingen a far girandola

con  la Dame au liocorn, Virginia Woolf                                              ,

stringere la mano di Vita Sachwille-West,

Anna Achmatova discorrere con Lily Brik,

Natascia, cresciuta tra eroico Andrej e sodo Bezukov,

tenere strenua confidenza con Lara,

le Elisabeth, le Alme, le Else, le Olghe

ispiratrici o custodi del frutto del genio,

e, strette per spontaneo afflato nella trama

di una mia creatività effusa in decenni,

sciolto il nesso corso tra i nostri cuori e menti,

le mie Nuvenie sicure, Fàkma, Temelia,

energiche capitane della Truppa,

della Masnada Amabile riuscita

infine vittoriosa nella guerra

all’estenuato regime maschilistico

iterativo, alienante e snaturante,

composto il pattume estetistico – contesto

di aleatorio e precario – nella Discarica,

inastare il vessillo femminista

ornato del fourieriano papillon

sul megalopolitano Municipio…:

Eutilia, Isocraè, Kenòtes, Gumnè,

Pelarghèia, Licìska, e tutte le altre…

 

E poi tutte le bene – o anche mal – giudicate,

le anelanti a vendetta del loro equivocato,

le appena appena placate dal tardivo verdetto,

tutte le arse un tempo dopo subite

biliosa tolleranza e stremante incomprensione,

le frustate, le lapidate, le mal commerciate,

le saziate del pregio fatto del loro gesto,

quelle di cui ho conosciuto nome e trama vissuta,

la tua Melencholia, Albrecht, la tua

Maddalena, Luca, in sacrale danza.

 

E poi Miriam Makeba, quella che cantava

con voce-barrito di elefantessa ctonia,

verace genitrice di tutte le razze e sessi,

gestora versatile di tutti gli strumenti e timbri,

e con lei la vecchia contadina il cui gusto Po Chu I

tenne a misura del merito dei propri poemi

appena composti, Euridice costretta

dall’empito protagonistico del suo Orfeo

a vagare per sempre nel regno delle ombre,

“Elena destra a offrirsi al brillante Paride

mentre una mite Brigida inforna patate,

mentre una ligia Fatima snocciola datteri,

mentre una razionale Dorothea

sprimaccia la biancheria calda dell’alcova,

Sofonisba trascorre con leggerezza

da segreti imenei a nozze plateali…”,

Arianna abbandonata dall’opportunista Teseo in Nasso,

soccorre il Dioniso Barbato di Boeto, e

ora va sottobraccio con la mia madre terrestre,

la prolifica, “la spesso concupita

negli incestuosi, innocenti, infantili sogni”,

Trotula salernitana, medichessa in patria,

accorta consigliera di puerpere in terre

boreali e intesa mitica “Dame Trote”…,

Eloisa sensuale e spavalda nel saio forzoso,

Margaret Roper che serra tra le braccia

il cranio  ossuto del padre Thomas More

riacquistato dal boia e tenuto in custodia

per più decenni nella dimora verginale,

e poi per sempre nel proprio stesso avello… ,

Diane Fossey paladina dei superstiti Oranghi,

nostri vilmente falcidiati Archetipi;

tutte le Olghe le Sonie le Ludmille

del romanzo sarmatico, e le Viridiane

del romanzo cantabrico ed iberico…

 

Comparse come in vortice nella mente insonne

che l’arsura estiva aveva frustato

tutte si lasciarono mansuete disporre

nel battagliero, nel rivoluzionario syntagma,

sulla tavola lignea dall’immacolata imprimitura,

mio Golfo di Guinea, mio Mar di Ohotsk,

mio Mar di Barents, mio Golfo del Bengala,

mio Golfo del Messico, mio Golfo di Carpentaria,

mia Baia di Hudson, mio Mediterraneo!…;

e ben le vidi con slancio impegnarsi

a fustigare la colpevole inerzia

dei loro antagonisti dalla bocca bavosa,

andanti con passo tardo e neghittoso incedere,

io tuttavia incitandole: “Orvia, replicate

voi talentuose, voi talentuose, alla Sibilla,

alla Sibilla che stremata farnetica

Apozanèin, apozanèin zèlo!… quando

il Goliardo Europeo in vacanza lussuriosa

e inconcludente, abradente e dispendiosa,

la interpella sornione dalla pagina

del petroniano Satyricon: Sìbulla, ti zèleis?…

Ora che finalmente scarseggia il carburante

fetido che manteneva in insonne frenesia

i motori incamiciati da guarnizioni

nichelate, splendenti, come dettava

il Manifesto folle prima che

il Destriero, irritato sulla dolina

dal funebre frastuono delle bombarde,

nitrendo disarcionasse e calpestasse

il corpo dell’Azzardoso Futurologo,

esso con selvaggia energia sconfiggendo

la frenesia prometeica, lo sperpero villano…

 

Ah come bene serrano tra le cosce

le onde e le governano! Ah, come destramente scivolano

sui pentagrammi ondulati delle onde

le mie Femmes, come intese a placare

gli Oceani che la vostra civiltà grassa, durata

fetida e petulante per più di un secolo,

ha infettato! Ah, come bene li sospingono,

gli Oceani gonfi di nutriente plancton,

a specchiarsi in ritemprante assopimento

nel lindo bacino argenteo del ventoso Egeo

che crepita di stridi di inebriati alcioni

discantanti nel modo misolidio,

in ben sostenuto ritmo…

 

Ecco; ho spinto nel flutto la nassa in cui per spontaneo afflato

erano state congiunte per anni tra loro e con me;

e subito la trama si dilatò come una immensa ragnatela

sui flutti, sicché i mari sfociavano in oceani,

le onde si assommavano in tsunami,

l’acqua che un tempo e per gloriosi secoli

era sgorgata dalle rocce pindariche –

àriston mèn udor!…àriston mèn ùdor!…nel mio orecchio

strepitando… – finalmente si mondava

delle morchie gommose, del fetido putridume

che il secolo frenetico e avventuroso,

che la dissennata intraprendenza

dell’altro Genere e Sesso ci aveva

spremuto e con pazza ostinazione diffuso,

intanto nell’etere snebbiato svolazzando

le guarnizioni nichelate di ormai dismesse astronavi,

sui saldi basolati di continenti ed isole

mandrie di vigorosi puledri nuovamente caracollavano…

 

Così, aderto sulla sua sponda occidentale

nella innocente nudità infantile,

spinto lo sguardo sul più remoto orizzonte,

scorgevo nell’etere limpido levata

la Antipode Montagna con ancora

ancora  impresse le orme di Aborigeni

eretti a sfida imperterrita, dall’Alchera,

di tanti adepti biliosi della Setta Scrivana

e Ruffiana, gestora di crediti e premi per asfittici

poetastri, tendevo rasserenato la mano

alla da sempre Beatificante e Beatrice

questi versi esponendo come dovessero

esser rivolto armonico della triade dantesca,

epigrafe impressa sulla Porta di Vita Nova,

musica di introibo all’Altra, alla Nuova,

alla Muliebre, alla Naturistica Civiltà!…

 

(Cori, 6 aprile 2012)