18 dicembre 2007. Recuperati da un deposito di inediti i tre componimenti seguenti.
Quando Eros insorge
Quando Eros insorge
e frusta coi fianchi flessuosi
la bianca campagna invernale
e nel nitore dei profili inerti
insinua i fremiti di primavere greche,
borbottii favolosi del clan di Lesbo
(fainetàimoi kènos ìsos zèoisin
emmenòner òttis enantiòstoi isdàinei
kài plàsion àdu fonèisas upakùei!…), (1)
la rana casalinga e paesana farfuglia,
dentro il cespo di acanto fiorito improvviso,
come nottambula in travagliato dormiveglia,
di gelosie, ultime esche alle energie
rimaste dopo lo sguardo, il bacio, il coito,
dopo i discorsi e i canti di esordio e di chiusa
incisi in alabastro salgemma e quarzo
e poi esposti alle viste miopi
dei rassegnati, al crivello degli scettici…
Quando Eros insorge
e stana dallo stillante scoglio
il cerilo capriccioso o impigrito
e nella mente insinua e aizza il tarlo
perché escogiti musiche esilaranti
e irripetibili versi cardino l’aria
(oh, allora, sì, ci sfiora il dubbio che l’accademia
possa almeno raccogliere l’eco di emozioni autentiche
sui carri cerimoniali e nei tabù nevrotici!…)
io mi rammento che il dolore sempre
prostra alcuni, altri rende più forti e nobili
e fertili. Questo messaggio di solidarietà
posso offrirvi: tutto ciò che una volta vi è mancato
può traboccare domani dalle tasche
di un vecchio abito di esiliato; profumeranno
le mani le bizzarrie di cui disponevate
per i vostri giuochi infantili, per i vostri
esuberanti sogni giovanili!…
Quando Eros insorge
e frusta coi fianchi flessuosi
la bruna dolomite dei nostri orgogli,
– e li poniamo nelle pagine festive
nel libro di familiari fotografie
con quale tenerezza verginale!…-
(“Ecce deus fortior me, qui
Veniens dominabitur michi!… D’allora innanzi
dico che Amore segnoreggiò la mia anima!…”),
io nello sfavillio di un diamante azzurro
con occhio di rapace vado esplorando
immagini di un s u o tempo ormai remoto
in cui non ero nel s u o cerchio magico,
con ali di libellula percorro
i s u o i affetti intermedi, magari mediocri,
con questa voce di fanciullo approdo
nel s u o orecchio guardingo, nel s u o cuore
corso da impulsi nuovi, squassato dai dubbi…
Quando Eros insorge
e frusta coi fianchi flessuosi
la tetra mediocrità della fabbrica umana
enorme, triviale, flaccida, maleodorante,
e nel teatro ci si pigia e ingiuria
nell’ansia di afferrare il verdetto morale
(ah, studiate da quali personaggi
giunge più persuasiva la voce ammonente
che il Fato da lungi tonante stana e incita!…)
io posso profetizzare una vita migliore
a quanti mi stringono la mano
o dal buio mi chiamano con orgasmo
sperando o sull’argilla della Noia
hanno saputo plasmare un idolo o un simbolo,
hanno affilato la virtù spontanea
nel vortice delle trombette petulanti:
“Sì, Amore accompagna da nascita a morte, sì;
ma si fa manifesto sulle vette!…”
(Roma 18 dicembre 1971-23 settembre 1972)
(1) – Saffo: “Mi pare uguale agli dei l’uomo che ti siede di fronte e da vicino ascolta la tua dolce voce…”
Lui forse è il dio mendicante
Lui forse è il dio mendicante
ermetico, dimesso, primo grappolo d’uva
pòrto al gusto interdetto del fanciullo.
Lui tutte le tradizioni dicono giunge al crepuscolo,
bussa alle porte di case colme di tepore
per patrimoni sostanziosi e pietanze gradevoli,
forbice che apre i sentimenti tessuti
in terre su cui le ombre si stagliano nette
lungo le vie selciate, entro i boschi, nei giardini…
Lui forse è il dio mendicante;
lui attraversa gli itinerari dei terrestri,
lui sorprende le bocche ridenti, gli occhi che ammiccano,
lui origlia alla porta dell’umile, lui sopporta la rampogna
dello scettico che gli porge l’obolo ma lo irride.
Bianca è la spuma del mare; nei romanzi plana
la virile emozione in punti imprevedibili;
bonacce e uragani così sorprendono
nave che si orienta decisa tra due continenti.
Lui forse è il dio mendicante;
è lui che sprona le intelligenze dei rassegnati,
è lui che colma di sogni utili le notti dei solitari,
è lui che vendica i sessi delle spose trascurate.
Lui si farà specchio dei tuoi ricordi e rimorsi:
sequestrerà il tuo dèmone personale
quando la civetta si leverà declamando alle tenebre,
dalla catasta dei legni tarlati,
la lista dei poteri non spesi o mal spesi!…
(Roma, 4 giugno 1973)
Domani brillerà sufficiente sole
Dinanzi all’eternità che la notte disvela,
stelle infisse sulla lettiera del pudore
con mille orgasmi, piedi sgattaiolanti
fuori dell’humour finale del Guitto,
che vale domandarsi: “Sono ubriaco
o sobrio?, allucinato o sognatore?,
razionale o fantastico?…”
La grafia
dobbiamo interpretare! La grafia
trova convincenti argomenti, si districa
nell’ora tarda, nel ricordo compromettente.
Per questo dunque mi accingo a governarla,
la mia grafia, in procinto di assopirmi
nel dolce ricordo di Donna molto amata
se anche non posseduta. Essa di molti
gesti sa ben esporre testo e glossa.
Ah, sì, davvero aprile è un mese crudele,
Madame Sosostris, nelle lande boreali
del pianeta raffredda i corpi e la poesia
stirring dull roots with spring rain; (1)
e un anno ha preteso suicida un Majakovski,
l’anno del vostro Dio millenovecentotrenta,
quattordici di aprile! (Io non avevo
ancora compiuto un anno del mio esistere).
Ma ora che ho in mente ben allineati i segreti
crivelli della mia indole semitica
utili a circuire e ingannare i miei ospiti
occasionali riguardo all’ora del mio rientro
notturno nell’albergo, riguardo al sapore
delle pronuncie longobarde che le mie
guide turistiche hanno preteso impormi?…
Domani brillerà sufficiente sole
perché tu possa proporre il tuo divorzio
con gesto disinvolto, spediti argomenti,
alla sposa che rifugge dal procreare
non perché abbia utero ormai fatto avaro
ma perché ha avari cuore, casato, razza…
“What you get married – ti basterà dirle –
for if you don’t want children?”(1)
(Cortona, 14 aprile 1974)
(1) Th. Stearns Eliot –La Terra desolata