28 settembre 2005. Rinvenuti due componimenti con datazione 1963, non inclusi nelle precedenti mie raccolte a stampa, li trascrivo qui.

 

Immutato orizzonte della gente mediterranea

 

Posso scrivere poesia in pieno mezzogiorno.

Posso fornire consigli mentre ascoltate una fine predica.

Posso sorridere irriverente nel corso di una conferenza.

 

‘Akrìdi tà katàruran aedòni kài druokòita

Tèttighi xunòn tùmbon èteuxe Murò,

parzènion stàxasa kòra dràku…’

dice A’nite.

E ora sto qui a chiedermi cosa è stato della bimba Mirò

dal nome così suggestivo che anche evoca

l’incanto improvviso di huertas valencianas.

 

Mi chiedo cosa è stato della bimba Mirò

poiché cala la sera e, ricordando i fatti

dell’ultimo tempo della mia vicinanza a mia madre,

ne riapprendo ancora il sapore emotivo,

provo gioia insperata, ma senza rimpianto.

 

Ora so quale più lunga e difficile via essa ha imposto

dall’ombra della sua supponenza gelosa

al passo della mia vita e dell’opera:

“Che cosa pretendi di essere e divenire? –

protestava; e sbarrava il proprio deluso egotismo

con serrature e con chiavi, distogliendo

dalla mia vista lo sguardo sdegnato.

 

“Al mediocre – rispondevo, e con quale ardimento!…-

che cosa per lui comprensibile potrai mai controbattere?…”

Io soltanto potevo scrutare il campo della disgrazia

fino all’orizzonte della sua atona crudeltà.

Per questo ora sto qui a chiedermi

cosa sarà stato poi della bimba Mirò, quella che

‘‘akrìdi tà katàruran aedòni kài druokòita

tèttighi xunòn tùmbon èteuxe”…

Sarà poi divenuta un’etera?, oppure una madre comprensiva

di tutte le irragionevoli ambizioni dei figli?

Avrà innocuamente allettato dei mediocri?

Non importa; la risposta, intanto, è divenuta superflua

poiché se è vero che

                                               ‘dissà gàr autàs

pàighni’o dispeizès òket Aìdas…’

Ade infine ha portato via anche lei

e le vigilatrici maligne hanno avuto successo

per quanto almeno potevano…

Le Mòire!, le Mòire!

Le Madri!, le Madri!

 

Madri che possono ricattare da stalli privilegiati!

Madri che possono acquistare maestria delle armi più sottili!

Madri che possono rinnegare il sesso generatore!

Le Madri!, le Madri!

Le Mòire!, le Mòire!

 

Con che cuore, dunque, oggi me ne sto qui,

trascorse le esequie dell’usignuolo e della cicala;

sopitosi il pianto di tutti i sopravvissuti,

cavalcate le onde che tanti hanno sommerso

con sentimentalismi, vigliacchi cedimenti;

e fiducia reciproca tento ispirare ai sopravvissuti

man mano scovati e adunati, per sospingerli

tra ardimento dell’esordio e panico dell’epilogo,

a specchiarsi nell’abisso dei mari

per comprendere l’abisso dei cuori,

immutato orizzonte della gente mediterranea!…

(Roma, sabato 2 novembre 1963)

 

O Sicilia, isola e altezza!

 

O Sicilia, isola e altezza!

Trìskelis e tetràkelis

della tua storia e della mia coscienza,

dei Siculi e dei Sicani,

degli Elleni e dei Fenici,

dei Greci disperati e dei Bizantini alteri,

dei Romani, degli Arabi, dei Normanni!

 

Ti sentivo narrata nei proverbi,

nei cibi, nella foggia degli abiti,

nel modo di sorridere e di imprecare

degli uomini e delle donne, nel taglio ròso

dei gradini, nella forma delle anfore,

nei chiocciolii delle fonti, nelle forme dei coltelli,

nella rupe fiorita dai desideri

che a un tratto scorgevo profilarsi

in fondo alle vie cittadine animate e dentate.

 

Che fortuna la poesia che

raddensa le immagini e le limita!

Dono divino di lieviti e tempeste

per sagge mescolanze di miracolose antichità!

E senza poesia come potrei essere capace,

io, di vegliare un morto o di educare un vivo?

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Kài pokàtoi dòso trìpodos kùtos…(1)

Alcmane promette una pentola tripode;

e poi quando chiama le alcionesse a scortarlo

nell’ultimo viaggio sul mare spumeggiante

come tenero il suo rituale della morte!…

E risento mio padre ripetere, la sera:

“Tra i preti sparisce il gabbano!…

Dalle ruote si sente, che è carretto!…”

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Crescono cuspidi normanne e minareti arabi

sulla tua pelle glabra, misteriosa

Sicilia! Persefone strepita all’Ade.

Demetra con ombra di spiga corre i campi.

E noi divisi in città straniere sogniamo,

sul grembo della madre casuale ci scaldiamo

dopo navigazioni fantastiche.

 

Scendono le cordonate serali folle di pescatori,

roseo fiore del destino farfalleggia le pietre,

i nostri canestri crocchiano come sedie di oziosi,

le farmacie hanno frescure di privilegio,

annusando il dio naturale amiamo e odiamo…

 

Chi vorrà consegnare qui il pedaggio del lungo viaggio

ospite sia se saprà riferire di lirici grandi

un cui verso sommuova come ondata mediterranea

i fondi della nostra memoria

non di fanciullo, ma clanica!

 

“…suonavano flauti, gli eletti;

qualcuno aveva approntato

giardini ben convenevoli alle lussurie;

i volteggi e i sorrisi delle Ninfe

offrivano spettacolo agli dèi

dei contrastati amori degli umani…”

(Roma, venerdì 15 marzo 1963)

 

(1) Alcmane – “… ti darò una grande gavetta”