(“…Ma gli abitanti del Nisa negano che Alessandro fosse salito sul monte: egli ne aveva bensì l’intenzione, in quanto era ambizioso di gloria e fanaticamente appassionato delle antiche tradizioni; ma temendo che i Macedoni nel passare accanto alle viti, che ormai da lungo tempo non vedevano, fossero colti dalla nostalgia della patria, oppure provassero desiderio di vino una volta che si erano ormai abituati a bere acqua, oltrepassò il Nisa levando preghiere a Dioniso e sacrificando ai piedi del monte.” – Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, II, 9)
Dove credevi poterli ancora condurre, Alessandro,
i tuoi istupiditi macedoni? Il clima si era fatto pesante,
ormai le armature gravavano loro troppo le spalle;
attorno ai fuochi, la sera, in tono dimesso recriminavano
sbocconcellando derrate che avevano in molto sospetto;
troppo spesso giunti a una fonte o alla riva di un fiume,
potevi scorgerli nudi detergersi, trascurare la guardia.
A cosa è valso vietare loro di ascendere al monte Mèros,
frenare la tua personale ambizione allora, la tua tentazione
di scorrere, palpare con mano i lunghi filari di viti
con cui ne aveva guarnito le pendici e la vetta
l’uno o l’altro dei due leggendari Dionisi un tempo?
A te hai precluso l’ebbrezza di un’orgia salvifica
infine liberatoria, forse, da quei frenetici impulsi
che Nectanebo aveva dagli astri tradotto con magica arte
nel punto in cui toccasti terra cadendo dal ventre materno;
ai tuoi hai voluto evitare la vista dei pampini
di cui smarrita avevano la cordiale memoria,
frenare il nostalgico morso di quanto una sbornia riafferra
nella penombra aromatica di dimore ben accudite.
In quella tua così accortamente studiata rinuncia
avresti dovuto già leggere che sull’impresa incombeva
la Moiraghignante, che già Melusine ed Arpie
avevano buona confidenza con la tua truppa sbracata.
(30 marzo 2005)