“Riporto le mie dita sulle note

delle sei Danze in ritmo bulgaro, epilogo

del tuo musicale ‘Mikrokosmos’,

avviso – e già testimone… – di eventi tragici

in questo modesto atomo mal gestito,

metafora quotidiana nella tua diaspora

dal continente vecchio e ormai avariato

al continente nuovo e già corrotto.

 

E come mi consolava, negli anni in cui

mi feriva il conformismo accomodante

della gente comune eppur pretenziosa,

questo tuo barbarismo, convincendomi

di come convenisse guardarsi indietro

mentre si muove pur innanzi il passo

in dirupi montani, in tempeste di vento,

di come sia affidabile il regime degli inizi,

inesauribilmente fertile il primordiale!

 

E dunque con immutati termini in me insorge

lo spavaldo rinfaccio all’età e ai suoi modi,

scurrili o cervellotici, di impegnare

senso e ragione nel tempo dato al vivere,

il suo tentare la natura in giostre

meschine e inconcludenti, imporle varianti,

imporle fiscali scadenze per gusti melensi,

rateizzate custodie delle reliquie

di trapassati in illudenti ideologie,

stivare santi e assassini in forzata combutta…

 

E in questo mondo in cui suona come

stentorea epica la ritmica sghimbescia

dei tuoi quattro due tre, tre tre due ottavi,

vessilli di ebbrezza rustica, di feroce alterezza

opposta al ringhio della megalopoli,

ricordare il teutonico fantaccino

che a Marzabotto sventrò la madre pregna

con un preciso colpo di baionetta

– che ne pensa, se vive?, che ne pensano

i suoi figli e nipoti, di quel suo atto?… –

e sulla sponda di tanto sangue sparso

esporre l’ultima chance dell’utopia,

satanica inquisizione o naivetè idiota,

margine estremo, coriandolo o nastrino

pendente dal balzachiano monumento

di questa nostra Storia bagascia testarda

deliberata in Eden e poi volta ad imum:

“Chi era il tuo trisavolo più remoto, Bela?…

Come ha potuto darsi che nel flusso

del sangue quel che a monte di esso era

ferocia di unno guerriero, maestria

di cavallaro, di buttero della pustza,

si flettesse alla foce ad auscultare

fruscii di chiome arboree, frinii di grilli,

palpiti di elitre, crepiti sommessi?…”

 

(Venerdì 10 marzo 2006)